Quando il granoturco non era il re

La storia alle spalle di Agri '90

Oggi il “formentàss” ha invaso tutta la campagna, ma una volta mica era così. La lavorazione aveva i suoi ritmi, precisi ed intoccabili.

Quaranta o cinquanta giorni dopo la semina, “se scarpava fo l’erba”: non c’erano i diserbanti.
“I veci i fava su i mucli, e i giuagn avanti e ‘ndré a portar stevài de erba”. Si toglievano le cime per il tempo in cui le vacche venivano dal monte, d’inverno.

 

Dalle foglie si facevano mazzetti che venivano portati sul solaio. A quel punto in cima al “malgàs” rimaneva solo la pannocchia, perchè si era usato tutto il resto. Si tiravano su anche gli “scartòs” in cui non c’era dentro niente.

 

Quando dicevi al nonno: “Ma qui non c’è dentro niente”, ti guardava e ti rispondeva: “L’asino mangia anche questo!”. Dagli torto! In Cooperativa c’erano due “moliner”: uno macinava di giorno e uno di notte. È da tenere presente che si macinava molto, e si macinava pure il frumento. Era una Storo povera, ma solidale.

“La lavorazione aveva i suoi ritmi, precisi ed intoccabili”

A Santa Lucia le famiglie davano un “masol de formentàss” ai frati (da un “masol” si ricavavano tre polente).

In mezzo al formentàss seminavano anche i fagioli, così quando si raccoglieva il grano si raccoglieva anche il “bagiàne”. In generale si metteva un campo di patate, uno di frumento e due di granoturco. Che aveva molto terreno ne metteva anche tre.

 

Le incombenze in campgna erano molte. Il lavoro era lento, e servivano braccia. Allora “ci si rendeva il tempo”. “Sgarbàr”, “scartociàr”, “tirar su l’tabàc”… A zappare un campo ci si metteva anche una settimana, quindi bisognava essere in cinque o sei. Ecco che ci si rendeva il tempo. Le famiglie si mettevano assieme: spesso erano i parenti, ma non necessariamente.

 

Le donne preparavano il pranzo, che i bambini portavano al campo.